I MILLENNIAL, QUESTI SCONOSCIUTI?

I MILLENNIAL, QUESTI SCONOSCIUTI?

Anno nuovo, sfide… vecchie. Il 2017 è iniziato da un pezzo e, degno successore degli ultimi anni, ha portato con sé alcuni nodi ormai da sciogliere. Uno fra tutti quello del rapporto fra la digitalizzatissima generazione Millennial e il mondo del non profit.

Una galassia, quella nata tra il 1980 e il 2000, rispetto alla quale abbiamo alcune certezze (è iper-connessa), ma che ci presenta ancora molti interrogativi: quali sono le sue caratteristiche e le sue potenzialità? Come e perché usa la rete? Quali sono le informazioni, i contenuti e le storie che attraggono la sua attenzione? Ma soprattutto: perché è necessario iniziare a guardarla come una risorsa per il non profit?

Una risposta interessante -e anche piuttosto divertente- arriva da Clay Bogges, che su 101fundraising ci manda un messaggio preciso: dal momento che il Terzo Settore si è aperto allo spazio digitale, è necessario allora che si affidi a risorse giovani e preparate per affrontarlo nel migliore dei modi, abbandonando l’idea di avere a che fare con degli extraterrestri.

Come rapportarsi dunque a questi presunti “nuovi E.T.”?

Anzitutto eliminando gli stereotipi. È vero sono giovani, è vero hanno (a volte) poca esperienza professionale, è vero hanno ancora tanto da imparare. Però i Millennial (come in generale tutte le generazioni più giovani) sono molto più che una “fascia di età”: sono risorse preziose per lavorare in un mondo, quello digital, in continuo cambiamento ma allo stesso tempo guidato da regole e comportamenti precisi, che i Millennial, più delle generazioni precedenti, hanno imparato a conoscere e maneggiare bene. Oltre il timore dell’inesperienza, ben venga dunque la sperimentazione, anche e soprattutto nel campo del non profit.

Avvicinarsi alle nuove generazioni (Millennial/Y e Z), magari sforzandosi di utilizzarne lo stesso linguaggio, significherebbe infatti, da un lato, formare nuovi validi fundraiser e, dall’altro, imparare da e insieme a loro le migliori strategie per sfruttare pienamente le opportunità offerte dai nuovi strumenti digital (social media in primis), anche in fatto di raccolta fondi.

Perché dei buoni esperti di digital fundraising potrebbero intercettare più facilmente i potenziali futuri donatori che, proprio come loro, si informano, creano rapporti e costruiscono modi e visioni di vita soprattutto attraverso il web. Potrebbero, insomma, aiutare concretamente le organizzazioni a parlare e a raccontare le loro storie su piattaforme nuove e con toni nuovi, facendo leva sui tre valori che proprio le generazioni più giovani cercano nel non profit: autenticità, trasparenza e impatto reale sulle comunità cui ogni onp si rivolge.

I colleghi Millennial, insomma, con il loro linguaggio fatto (anche) di emoji, e immersi come sono in un mondo dove gli influencer sono i nuovi punti di riferimento, potrebbero diventare la chiave di volta per l’intero settore, sia grazie alla loro capacità di analizzare realtà virtuali ormai sempre più reali sia per la loro vicinanza culturale a una nuova, futura, fetta di donatori: i… Millennial, appunto.

E noi? Quanti Millennial abbiamo nei nostri team di fundraising?

Ma soprattutto: quanto li ascoltiamo?

 

Fonti:

101fundraising

UKFundraising